L'incontro ha avuto luogo nel cuore di Napoli, nella chiesa di San Gennaro All'Olmo, all'angolo tra Spaccanapoli e San Gregorio Armeno: un gioiello! raggiungere la chiesa è stato bello per tutti i partecipanti, nonostante una pioggerellina fitta abbia "rinfrescato" la passeggiata. L'introduzione di Lucio Baglio ha permesso a Mons. Mariano Imperato di prendere la parola e suggerire i seguenti spunti: Paolo ha saputo che nella comunità cristiana di Roma i convertiti dal giudaismo e dal paganesimo rischiano di contrapporsi. I primi erano rimasti legati alle loro tradizioni ebraiche mentre quelli provenienti dal paganesimo non sapevano nulla di tutto questo; alcuni di loro magari ricordavano usanze delle loro tradizioni pagane. Noi conosciamo bene, anche per esperienza personale quanto non sia scontato il rispetto della diversità, non giudicare o disprezzare chi segue tradizioni religiose diverse. La tolleranza non è qualcosa di scontato. C’è chi non mangia carne – dice Paolo e mangia solo legumi e c’è invece chi la mangia; c’è chi fa differenza fra i giorni della settimana e chi li giudica tutti uguali. E tutto questo facilmente genera contrapposizioni, giudizi. E Paolo dice: ricordiamoci che apparteniamo tutti al Signore. Ponete l’attenzione su ciò che è fondamentale: la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito Santo. Fatevi servitori di Cristo in queste cose. Cercate ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole. Noi sappiamo quanto nelle chiese evangeliche la lettera ai Romani sia stata tenuta presente rispetto a dei punti fondamentali nelle discussioni teologiche a seguito della Riforma. Forse oggi possiamo sentirci più liberi nel non perseguire una radicalizzazione delle posizioni, cercare l’incontro piuttosto che la contrapposizione. Tanti passi sono stati compiuti negli ultimi tempi. Ricordiamo solo gli ultimi: l’incontro di papa Francesco con la tavola valdese che sabato hanno ricambiato la visita in Vaticano; l’incontro fra il patriarca ortodosso russo Kirill e Francesco nell’isola di Cuba; e il prossimo incontro per i 500 anni fra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale per commemorare il 500.mo anniversario della Riforma che cade nel 2017, in “uno spirito di responsabilità ecumenica” – come ha detto il segretario generale della Federazione rev. Martin Junge – lavorando “per la riconciliazione fra luterani e cattolici” e si operi “per la giustizia, la pace e la riconciliazione in un mondo lacerato dai conflitti e dalla violenza”. Lo Spirito opera nelle Chiese o ognuno di noi, col bagaglio delle sue abitudini religiose buone, non faccia resistenza a questo cammino. Questo lo dico perché so di resistenze nella Chiesa cattolica, non so delle chiese evangeliche. Mi colpiscono le parole di Karl Barth che nel suo commento alla lettera ai Romani, proprio riguardo a questo capitolo 14 dice: “ancora una volta la corsa zelante dei propri partigiani è fermata … La libertà di Dio! Una vita libera che sembra essere la conseguenza che si deduce dalla scoperta sconcertante della libertà di Dio”. Il significato dei primi versetti – accogliete chi è debole nella fede … chi sei tu che giudichi? – dice ancora Barth – è la comunione … l’autentico discepolo di Paolo non si pone davanti a loro nell’atteggiamento dell’accusatore e del critico, ma sta dietro a loro, informandosi con simpatia delle loro “posizioni”. Ma non è quello che noi stiamo facendo e vivendo? Rendiamo grazie a Dio! Mi colpisce ancora una sua affermazione: La libertà nella prigionia di Dio! Cioè se noi ci facciamo prigionieri del Signore, diventiamo liberi: liberi di ascoltare senza pregiudizi, di accogliere, di fare un pezzo di strada insieme e soprattutto di non giudicare. Non disprezzare, non condannare. Dio conserva la comunione con l’altro, Dio conserva la comunione con l’uomo per pura misericordia. E allora chi può giudicare se non Dio solo. Perché dunque tu ti permetti di giudicare, perché sei tu che disprezzi? Sappi che colui che tu disprezzi è “il tuo fratello!”. Non vi è nessun motivo di rompere la comunione, anzi vi è ogni motivo di conservare la comunione. Tutti compariremo davanti a Dio così come siamo. Riconosciamo la libertà di Dio e della sua azione. Noi possiamo vedere nel debole, nel debole nella fede, soltanto Cristo, soltanto il fratello. E noi sappiamo che noi pensiamo di essere i forti nella fede, è l’altro il debole nella fede! Ma Paolo dice non solo di non condannare il fratello, ma evitare anche di dargli “occasione di inciampo e di scandalo. Noi dobbiamo fare la pace – e qui mi riferisco ai versetti 19-23 – la pace di Dio, la pace nella libertà che è ance libertà del prossimo. Non vi è pace senza reciproca edificazione. Nonostante le differenze la fede c’è, sia nei “deboli” che nei “forti”. Noi non apparteniamo a noi stessi, ma al Signore, siamo sua proprietà. Tante volte per affermare l’oggettività di una nostra affermazione, offendiamo la carità, dimenticando che l’oggettività non è superiore alla carità. Il fratello da non scandalizzare è colui per il quale Cristo è morto in croce. Si tratta allora di inseguire la pace e aspirare a tutto ciò che crea la pace e contribuisce alla pace. E così servire alla edificazione reciproca e alla costruzione dell’ecclesia, dei chiamati. Ma non è questa la strada che stiamo percorrendo anche noi, parte di una storia più grande che i cristiani stanno scrivendo? Siamo chiamati alla pace, non a uno sguardo corrosivo, giudicone verso gli altri. La pace è la giovinezza e la libertà del mondo. La pace è nella comunione benevolente tra le parti diverse. Bisogna praticare il “non giudicare” di Gesù: questo è un cambiamento profondo che occorre fare per ognuno. Giudicare tanto non fa crescere gli altri, ma fa crescere disprezzo e pessimismo. Penso che questo noi lo abbiamo fatto gli uni verso gli altri. Ma una nuova stagione siamo chiamati a vivere. Paolo chiede di accogliere l’altro. Il fratello non va giudicato, ma accolto con benevolenza. L’abitudine a giudicare, ad essere aspri, a misurare l’altro con se stesso e con i propri principi, porta a disprezzare. L’egocentrismo si difende con il disprezzo. Pensiamo alla parabola che Gesù dedica ad “alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri. Guardiamo il bello nella vita del fratello e della sorella, guardiamo il bello nelle chiese sorelle. Non solo le critiche o la voce alzata a cambiare gli altri. Ma è l’attrazione al bene. Bisogna innescare un circuito di attrazione al bene. Teniamo lontano dal cuore la durezza e l’asprezza contro l’altro, il giudizio e la maldicenza. Dice Paolo sempre nella lettera ai Romani: “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (12,10) L’amore ha bisogno di stima e l’amore si deve appoggiare su punti di stima. Questa mi sembra la realtà di quello che abbiamo cominciato a vivere. E siamo contenti di continuare su questa strada. Successivamente il Pastore Verrillo ha tracciato questo percorso: Paolo scrive la lettera ai Romani intorno al 58 d.c.. Pare che nel tempo di un anno abbia scritto tre importantissime lettere , che costituiscono un vero e proprio evento per la teologia cristiana intera : I e II Corinti e Romani. L'intento dell'epistola ai Roamani era quello di far conoscere, da parte di Paolo ed i suoi più stretti collaboratori, il suo pensiero a questa comunità da lui non fondata e quindi non conosciuta. Per Paolo era importante farsi accettare dai Romani, il suo programma era quello di ottenere, con l'appoggio della comunità romana, la possibilità, anche economica , di potersi recare nella penisola Iberica e di li proiettarsi con il suo messaggio in nord Europa. Sappiamo che questo ambizioso progetto non gli riuscì, morì martire a Roma. Tuttavia , secondo alcuni commentatori, sembra che di fatto Paolo, grazie alla comunità di Roma, raggiunse la penisola Iberica , per poi farvi ritorno in tempi brevi per cause non ben precisate ( malattia, difficoltà economiche, costumi e linguaggio completamente diversi ,.. altro ). Non potendo operare una esegesi puntuale del capitolo in esame , non è questa la sede, mancando del tutto il tempo disponibile, è possibile, comunque, fare riferimento ad una interessante ermeneutica della pericope così come individuata dal verso 1 al verso 11. All'interno di questa pericope la prospettiva ermeneutica coglie almeno due “ orizzonti di senso “ : a) il verso 5 , che recita : uno stima un giorno più di un altro ; l'altro stima tutti i giorni uguali ; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Prima di affrontare una qualunque critica alle due categorie forte / debole , Paolo richiama , con autorità apostolica ( ! ), l'attenzione dei fedeli sull'agire con coscienza ( ciò sarà ulteriormente confermato nel verso 23 ) . Il XX secolo si è caratterizzato per un vivace e spesso polemica ri-flessione sulla coscienza cristianamente intesa. Già dalla più che sanguinosa “ prima guerra mondiale “…. molte correnti filosofiche , ( sulla scia dell' attacco di Nietzsche al cristianesimo della sua epoca ma con argomenti certamente più congruenti ), tra cui esistenzialismo ( almeno alcuni suoi autori ) e neo – razionalismo , sottopongono ad una forte critica il concetto di “ coscienza in ambito cristiano “ . Il collasso etico che ha investito , ed ancora investe, le generazioni del XX secolo, è imputato da filosofi come , Heidegger , Adler, Popper e tanti altri …., alla metafisica cristiana , in particolare al modo di vivere “ secondo coscienza “ del cristiano . L'accusa è chiara : “ Il Cristianesimo di Paolo, Agostino ed altri , hanno ridotto la coscienza a semplice volontà del singolo , ovvero a semplice esecuzione di parole d'ordine, sia esse divine o umane, … la coscienza è stata ridotta ad una relazione comando – obbedienza . Viceversa , la vera coscienza non deresponsabilizza, non annulla affatto la responsabilità personale , essa , relativamente alle sue decisioni , va approfondita ( il verbo è presente nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme- per il verso 5 -ma non testualmente presente nella versione greca )... costantemente criticata. Inoltre la vera coscienza è per sua stessa natura anticonformista ! “ Se si esclude il serio problema che questi filosofi leggono “anche” la Bibbia con la lente della “ metafisica platonica e neo – platonica “ criticando ferocemente simile precomprensione . La loro critica non va sottovalutata , il cristianesimo ha bisogno di un serio e profondo ri – flettere su cosa e come intendere oggi la “ coscienza “ . Come già detto, nella società del perfetto “ collasso etico “ non è possibile rifiutare un confronto con queste critiche , ne va della nostra credibilità oltre che del nostro futuro ! b) i versi 7 e 8 ,recitano : Nessuno di noi infatti vive per se stessi e nessuno muore per se stesso ; perché se viviamo , viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, moriamo per il Signore. Per Paolo Dio governa la nostra vita e la nostra morte. L'atteggiamento dell'uomo contemporaneo verso la morte è molto contraddittorio : o se ne ha paura oppure si conduce la propria esistenza come se non si dovesse mai morire ….Alcuni filosofi propendono per “ l'essere per la morte “ , per cui vita e morte si “ coappartengono” ma si corre il grave rischio di non riuscire a distinguere l'una dall'altra ! Per Paolo anche la morte può intendersi come dono di vita perché intesa come “ ritorno al padre “ Sulla scorta di questi due “ orizzonti di senso “, appare più chiara la critica di Paolo a tutti coloro si affrontano sul terreno delle due categorie : forti – deboli. Per l'Apostolo è una distinzione inaccettabile, prima di tutto perché : 1) nell'ambito di una risposta appropriata ( e la risposta è appropriata solo se espressa in piena e corretta coscienza …. ) alla grazia di Dio , in Cristo c'è libertà, più libertà di quanto si pensi…. 2) Paolo esige che all'interno della comunità vi sia posto per entrambi le pratiche, perché il divario tra esse non ha senso se non sono in gioco i “ principi fondamentali della cristianità” e i suoi limiti sono accettabili. Questo perché le pratiche differenti hanno una comune radice : sono fatte con lo scopo di onorare Dio e affidarsi a Lui nella vita e nella morte ! 3)Così come è altrettanto inaccettabile la reciproca condanna a seguito di un giudizio . Colui che giudica corre il grave pericolo della “ idolatria di se “ , ovvero arrogarsi di quanto appartiene solo a Dio. Inoltre “ … tutti compariremo davanti al tribunale di Dio “ …. sarebbe proprio il caso che ognuno si preoccupi per se stesso. ! Il prossimo appuntamento è per il 4 aprile 2016, nella chiesa valdese di via dei Cimbri, su Luca 4, 14 e seguenti (l'opera dello Spirito Santo). Relatori: monsignore Mariano Imperato (Comunità di sant'Egidio) e pastore Leonardo Magrì ( Chiesa Valdese). INFINE, è imminente la pubblicazione degli Atti del Convegno su Malattia e Fede (28.11.2015) e il S.A.E. ne darà comunicazione immediata a soci e simpatizzanti.